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Onde, di Fedro

Febbraio 11, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Onde, di Fedro
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Una città di mare senza sembrarlo. Poco più di 500 metri lo separavano dalla zona portuale e dalla passeggiata a mare limitrofa, eppure aveva dovuto attendere più di 50 anni per accorgersene. Quell’orizzonte tra cielo e mare non lo aveva mai incuriosito fino a quando non decise di vedere di cosa si trattava, come se la collocazione geografica della città fosse una cosa nota a pochi e non di dominio pubblico. Una volta tanto la sua passeggiata si diresse verso est anziché verso il solito sud.
Le navi alla fonda, le grandi gru, le aree di deposito piene di container e di auto, il volo basso di tanti gabbiani, più di quanti ne avesse mai visti in vita sua, lo conquistarono e non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto a meno di quelle immagini, di quei rumori, di quegli odori, per tutti quegli anni. La città gli sembrava un’altra. Non aveva mai camminato per quella via e gli sembrava di essere un turista nella sua città. La scoperta del porticciolo turistico appena ultimato dopo lavori di recupero durati un’eternità lo stupirono ancora di più di quanto già non lo fosse. Palme, panchine, barche di tutti i tipi e dimensioni, lounge bar … gli venne il dubbio che avesse varcato una finestra spazio temporale, ma la Chiesa della Catena sullo sfondo gli confermò che era proprio la sua città, ma diversa, diversa come l’avrebbe sempre voluta. Piacevoli sensazioni gli provocavano la vista di tutto ciò gli capitava davanti agli occhi. Era uscito da casa per sgranchire le gambe e snebbiare la vista e si trovava a fare il turista in un luogo che non avrebbe mai immaginato. Anche i nomi delle tante barche erano una continua rimembranza di ricordi di un tempo, di film, di libri, era tempo che la sua mente non si trovava a vagare fuori dai soliti problemi. Senza accorgersene giunse alla fine della banchina. L’antico loggiato e la porta est della città erano un colpo d’occhio magnifico e la vita che si svolgeva nel grande prato di fronte davano un senso di grande tranquillità. Uomini e donne di tutte le età e di tutte le razze erano impegnate nelle più diverse attività, chi festeggiava una cerimonia, chi giocava al calcio, chi andava in bici, chi faceva jogging, chi mangiava qualcosa, chi si limitava a osservare il mare e quella sottile linea che separava il mare dal cielo e forse qualche altra cosa che solo la mente di ciascuno poteva vedere. Anche lui si mise a osservare il mare. Dal porto vide uscire la pilotina e capì che una nave stava per arrivare e infatti alzando lo sguardo, da dietro la diga foranea vide avvicinarsi una nave da crociera, una immensa nave da crociera, che nell’arco di pochi minuti occupò quasi tutta la visuale. Doveva ospitare migliaia di passeggeri e sui ponti esterni tantissimi uomini e donne si godevano lo spettacolo della città dal mare, tutte le città viste dal mare hanno un fascino particolare, ma quella che adesso avevano davanti aveva una storia più che millenaria, era stata capitale ed era stata il centro del mondo quando il mondo conosciuto non era quello di oggi. Una strana sensazione lo prese. Non sapeva di cosa si trattasse ma un senso di agitazione lo pervase. Non riusciva a staccare gli occhi dalla nave e proprio quando la pilotina fu vicina alla nave per far salire l’addetto alle operazioni di attracco successe qualcosa. Da uno dei ponti si staccò quella che sembrava una macchia colorata che velocemente cadeva verso la superficie del mare. La nave continuò la sua manovra e la pilotina se ne staccò per rientrare in porto, e anche a bordo della nave non si notò alcuna reazione. Se si fosse realmente trattato di un passeggero qualcuno se ne sarebbe dovuto accorgere, pensò lui, ma il senso di inquetudine non lo lasciava. La nave entrò in porto e lui continuò a guardare dove ricordava che potesse essere caduta la “macchia colorata” ma da quella distanza non notava nulla, o forse si? 

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Per i sentieri del Gracco, di Fedro

Febbraio 10, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Per i sentieri del Gracco, di Fedro
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Amava quei luoghi. Appena poteva si ritagliava qualche giorno per potersi immergere nel silenzio di quella natura ancora selvaggia. Non si sarebbe detto ma anche a poco più di un’ora dalla città caotica e rumorosa esistevano ancora luoghi dove sembrava che il tempo non fosse passato mai.
Alcuni impegni di lavoro saltati gli liberarono 3 giorni e non gli parse vero potersi concedere quell’inaspettato stacco, erano almeno due mesi che non si era potuto allontanare dallo studio.

Non ci pensò due volte e la sera stessa si avviò verso il Gracco, non prima di aver avvisato “za Pina” perchè gli facesse trovare la stufa accesa e magari anche qualcosa da mangiare, per gli altri giorni ci avrebbe pensato l’indomani mattina. Mentre i chilometri scorrevano sotto la sua auto pensava a cosa avrebbe fatto in quei tre giorni. Attorno al Gracco si diramava una vasta rete di sentieri e in quei 5 anni da quando frequentava il posto ne aveva esplorati non più della metà, gran parte dei quali si inerpicavamo per i boschi di querce e castagni che rivestivano quelle montagne.

I gestori del parco locale avevano fatto un buon lavoro e tutti i sentieri erano ben segnati e riportavano tutte le informazioni affinchè l’escursionista non si perdesse nulla di ciò che in quei luoghi meritava di essere visitato.
Erano da poco passate le 21 quando arrivò al rifugio. Le luci esterne erano accese, segno che la za Pina aveva preparato la sua accoglienza.
Scendendo dall’auto fu colto da un un brivido di freddo, in quel periodo a quell’altitudine e nel cuore di quei boschi la temperatura si avvicinava spesso allo zero e quello era stato un periodo particolarmente freddo, ma già assaporava il piacere del tepore che lo avrebbe accolto dentro il rifugio. Prese gli zaini dal bagagliaio dell’auto e si diresse verso l’ingresso. La porta non era chiusa, era accostata e dall’interno del rifugio arrivava un profumo che gli ricordava un tempo andato. Il cuore cominciò a battergli all’impazzata,
spinse la porta fino a spalancarla completamente e non resistette a ciò che vide e come un sacco vuoto crollo a terra.

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La mietitrice di anime, di Fedro

Febbraio 9, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Da “La mietitrice di anime”, di Fedro
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“… perchè se ne è andata? Non è giusto! La vita le stava finalmente restituendo ciò di cui l’aveva privata nei suoi primi vent’anni durante i quali aveva sofferto prove strazianti, la morte della madre, la malattia devastante del padre, l’incidente terribile in cui furono coinvolte le due sorelline più piccole.
Nonostante la vita la ributtasse in mare ogni qualvolta sembrava che ne stesse venendo fuori, lei ricominciava e passo dopo passo ricostruiva quanto aveva perduto, ma fino all’ennesima disgrazia che inevitabilmente l’attendeva. Anche la nascita di Angel era stata funestata dalla scomparsa del padre, ma quel figlio era stato per lei un dono destinato a lenire il dolore per la perdita di quello che sarebbe stato suo marito. Non si è mai arresa e così sembrava anche in queste ultime settimane in cui l’abbiamo vista affrontare le continue avversità con lo stesso spirito battagliero, ma qualcosa dentro di lei stava succedendo. A me non sono sfuggite quelle smorfie che incomprensibilmente le comparivano sul volto ma che subito riusciva a trasformare in accenni di sorriso appena notava che qualcuno aveva colto la sua espressione di dolore. La malattia, dicono i dottori, è stata brevissima e nel volgere di 3 settimane l’ha devastata. Deve avere sofferto pene inimmaginabili ma fino a quando non le è stato impossibile alzarsi dal letto, ieri mattina, nessuno avrebbe mai sospettato che se ne sarebbe andata, e non così presto. Non riesco ad associare a lei l’opera della mietitrice di anime. Era una combattente e anche se aveva perso tante battaglie ne usciva sempre a testa alta e fortificata. Raccogliere le sue ultime parole è stato per me una emozione che non riuscirò mai più a dimenticare. Come facesse a mantenere la lucidità mentre mille coltelli le dilaniavano le viscere nessuno potrà mai comprenderlo, ma sentiva che non poteva andarsene senza avere dato le indicazioni per mettere a posto quello che a lei non sarebbe stato concesso di fare. Non c’è riuscita. Si capiva che erano tante le raccomandazioni che avrebbe voluto lasciare ma la mietitrice di anime l’ha strappata da noi senza concederle il tempo che le sarebbe stato necessario. Ha capito che il suo momento era arrivato e per la prima volta nella mia vita ho visto una lacrima, una unica lacrima, rigarle una guancia. Mi ha guardato come se si vergognasse di quel momento di debolezza, ma si è trattato di un attimo e i suoi occhi si sono spenti. …”
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Il diario del professore, di Fedro

Febbraio 8, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Il diario del professore, di Fedro
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Il professore, così lo chiamavano, aveva trascorso una vita intensa. Non si era mai fermato un giorno e aveva riempito le sue giornate di tanti impegni tra studio, lavoro, sport, ed eventi culturali. Ma alle soglie dei 60 anni il suo corpo gli aveva presentato il conto e una patologia cardiaca lo aveva costretto a ridurre, se non interrompere, tutti i suoi impegni.
Stentava a riconoscere la sua routine quotidiana e non solo non la riconosceva, non gli piaceva affatto. La sua agenda si era praticamente svuotata, mail e telefonate si erano diradate fin quasi al silenzio, da trascinatore si era trasformato in un peso e i tantissimi amici preferivano evitarlo per non rischiare di sottoporlo alla tentazione di un qualsiasi impegno che sarebbe potuto essergli fatale.
Ma quella non era vita, non era la sua vita, e lui questa vita non voleva più condurla.
In un giorno imprecisato del mese di maggio il professore fece perdere ogni traccia di se, chiuse casa e partì senza dare alcuna indicazione sulla sua destinazione.

Passarono tre anni prima che si sapesse che il professore era morto, ma su che cosa avesse fatto in quei tre anni fiorirono tante leggende fino a che non fu pubblicato postumo il suo testamento spirituale in forma di diario, e si seppe così che il meglio della sua vita lo visse proprio durante quegli ultimi tre anni. 
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La città nascosta, di Fedro

Febbraio 7, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

La città nascosta, di Fedro
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Almeno una volta al mese Luca si concedeva un breve viaggio, non più di 2 o 3 giorni, in una città in cui non era mai stato. Spesso durava più il viaggio per raggiungerla che la visita della città stessa. La scelta della città era affidata al caso, una citazione in una trasmissione radiofonica o televisiva, una pubblicità, una battuta colta da un conversazione tra estranei. Non andava mai in città che gli venivano suggerite deliberatamente.
Quel mese fu la volta di Urbino. Vi giunse in una giornata nebbiosa. Non si vedeva a distanza di pochi metri. Aveva scelto una sistemazione per la notte in un piccolo albergo del centro. Alla reception lo accolse una giovane impiegata che nell’elargirgli un ampio sorriso chiese in cosa potesse aiutarlo. Luca per tutta risposta disse il proprio cognome e aggiunse che doveva esserci una prenotazione a suo nome. Mentre la receptionist consultava il computer Luca la osservava e si interrogava come di lì a poco si sarebbe compiuto un altro cerimoniale di questi suoi viaggi, i consigli della reception.

Luca non si documentava sulla città da visitare e si limitava soltanto a organizzare orari e mezzi di trasporto per andare e tornare dalla città selezionata. Per la visita della città si affidava a un particolare processo il cui ruolo principale era affidato alla persona che stava alla reception al suo arrivo. Chiedeva una cartina, si faceva indicare le principali attrazioni, e poi, in camera, individuava scientificamente un percorso che lo avrebbe tenuto alla larga dai suggerimenti della reception, Luca voleva visitare soltanto luoghi fuori dagli itinerari turistici e i receptionist, secondo Luca, erano le persone più indicate per fornirgli una sintesi dei luoghi da non visitare.
A Urbino, nell’albergo di Urbino, le cose non andarono come al solito e difronte alla domanda posta da Luca la receptionist si comportò in modo assolutamente fuori da ogni attesa e quando Luca si trovò nella sua stanza a guardare i ghirigori che la receptionist aveva tracciato sulla mappa di Urbino, guardandosi nello specchio, vide sul suo volto una espressione che non conosceva. Sarebbe stata una bella impresa visitare Urbino secondo il suo metodo.
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Il faro di capo Maluventu, di Fedro

Febbraio 6, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Il faro di capo Maluventu, di Fedro
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Bifari si destava dal suo isolamento per tre mesi all’anno, da giugno ad agosto, per riempirsi di turisti e villeggianti che trasformavano quel piccolo borgo marinaro in un assordante villaggio vacanze. Le case si distribuivano lungo la stretta lingua di terra delimitata dalla spiaggia di sabbia bianca e da monte Piddirinu che si ergeva per oltre 200 metri e si inoltrava nel golfo di Bifari con la sua forma che richiamava il dorso di un elefante in vena di abluzioni. All’estremo ovest del golfo insisteva una ripida scogliera in cima alla quale faceva bella mostra il faro di capo Maluventu. Rari erano i frequentatori estivi di Bifari che si avventuravano per quei due km di stradella che si inerpicava dalla periferia del paese fino al faro, i più erano più che soddisfatti delle acque del golfo e di quella spiaggia che sembrava talco. Il faro era oramai disabitato da un ventennio e soltanto Paolo aveva l’abitudine di salire tutti i giorni fino in cima a quella scogliera per godersi lo spettacolo di quella vista sul golfo in basso e sul mare aperto oltre il golfo.
Paolo non avrebbe rinunciato per nulla al mondo a quella escursione quotidiana che effettuava in qualsiasi stagione e con qualsiasi condizioni meteoriche. Portava sempre con se una piccola colazione e poteva rimanere ore e ore ad osservare lo spettacolo della natura che da li si poteva osservare.
Fu un giorno di primavera con un sole timido e un vento teso che spazzava le nuvole che sembravano rincorrersi che al faro Paolo trovò una sorpresa destinata a cambiare il corso di quella consuetudine. Seduta sulla roccia sulla quale era solito accoccolarsi trovò una giovane donna che al suo arrivo non si scompose più di tanto e non lo degnò neanche di un saluto. Paolo si sentì a disagio
e per la prima volta dopo tanti anni la visita al faro non gli fece provare quel senso di benessere al quale si era abituato e si vide costretto a riprendere la via del ritorno prima del solito.
La scena si ripetè nei successivi giorni e Paolo cominciò a perdere quella pace interiore che lo aveva accompagnato in quegli anni.
Nonostante la presenza oramai fissa della donna al faro, Paolo continuava a inerpicarsi fino al faro con la segreta speranza che la sconosciuta si stancasse. Ma così non fu e dovette attendere lunghi mesi, fino alla prima domenica di maggio, perchè la situazione mutasse e gli eventi prendessero una piega alla quale non è facile credere.

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Notturno, di Fedro

Febbraio 5, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Notturno, di Fedro
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Di necessità aveva fatto virtù e la notte era stata eletta a parte principale della sua giornata. C’era stato un tempo in cui la notte era fatta per dormire, ma non ricordava quando il suo bisogno di sonno era andato diminuendo fino al punto di non distinguere più il giorno dalla notte. Gli erano sufficienti dei brevi periodi di dormiveglia, non più di 15 minuti, per recuperare il livello di attenzione necessario per il suo lavoro e di dormiveglia in dormiveglia poteva andare avanti per settimane, anche mesi. Ma se durante il giorno il suo lavoro riusciva a impegnarlo, la notte era un tormento. La lettura lo aiutava ma non riusciva a leggere tutta la notte e fu così che cominciò a riempirla di tanti impegni, impegni che non avrebbe mai immaginato se adesso non li vivesse in prima persona.
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Viaggio senza destinazione, di Fedro

Febbraio 4, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

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Aspettava quelle due settimane come un nuotatore attende il momento in cui riemerge dall’acqua e ricarica i polmoni. Nessuno sapeva cosa avrebbe fatto in quei giorni, neanche lui. Sapeva soltanto che avrebbe preso il primo treno in partenza dalla stazione di Remy e da lì sarebbe andato avanti di coincidenza in coincidenza secondo le sensazioni del momento. Avrebbe camminato, avrebbe preso ogni mezzo di trasporto si fosse reso necessario e disponibile al momento, avrebbe dormito dove ne avesse sentito il bisogno e si sarebbe fermato dove avrebbe avuto il piacere di osservare luoghi mai visti e respirare atmosfere che lo inebriassero. Di certo avrebbe parlato il meno possibile, avrebbe voluto passare inosservato e non modificare in nessun modo le vite che attraversava nel suo viaggio.

E anche questa volta sarebbe tornato carico di tante storie e pronto a immergersi nella sua routine fino alla prossima evasione.

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Non rispondere agli sconosciuti, di Fedro

Febbraio 2, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Non rispondere agli sconosciuti, di Fedro

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I due si conobbero una mattina di inverno alla fermata del bus per l’aeroporto. Lui le chiese conferma se quella fosse la fermata per l’aeroporto. Lei rispose di si. All’aeroporto si trovarono fianco a fianco al banco della stessa compagnia aerea. Lui le chiese conferma se fosse proprio quello il banco della Transavia, lei lo guardò e le rispose di si. Poco più tardi stavano ancora vicini al gate per l’imbarco per Parigi. Lui le chiese conferma se quello fosse il gate per Parigi. Lei lo guardò fissa negli occhi e dopo pochi secondi durante i quali il tempo sembrò fermarsi gli rispose ancora una volta di si, e su di loro piovve una grandinata di riso.

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Il bosco di Passo oscuro, di Fedro

Febbraio 1, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Il bosco di Passo oscuro, di Fedro
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Ci sono luoghi incantati, ma non per tutti, perchè spesso la bellezza è negli occhi di chi guarda.
Nilde racchiudeva il suo paradiso nel bosco di Passo oscuro all’interno del quale, in una radura inaccessibile, si era costruita un piccolo rifugio che aveva dotato di tutto ciò che le serviva per trascorrervi il suo tempo libero e qualche volta dormirvi.
In quel bosco Nilde aveva passato i suoi momenti più felici. Aveva fatto amicizia con le creature del bosco la cui osservazione per lunghe ore la rapiva in una sorta di estasi.
Tutto le piaceva di quel bosco, anche gli anfratti più remoti in cui le chiome degli alberi erano così fitte che la luce filtrava appena. Anche in quegli anfratti le piaceva sdraiarsi sul tappeto di foglie che copriva il suolo e osservare le figure che si formavano tra chiome e cielo.
Nilde era talmente abituata alla solitudine in quel bosco che per lei era scontato che fosse l’unico umano a frequentarlo fino a quando non si imbattè in Goran, un ragazzino di non più di 12-13 anni che, come poi seppe, era fuggito dalla guerra che stava devastando il suo paese a diversi giorni di cammino dal bosco. Il primo incontro la infastidì e considerò Goran un intruso, alla stregua di un ladro che aveva violato la sua casa, poi, cominciando a conoscerlo, si rese conto che il ragazzino aveva reso più piacevole il tempo trascorso nel bosco e insieme a lui cominciò a vivere dellestorie incredibili.
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Tra pioggia e vento, di Fedro

Gennaio 30, 2019 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Camminare non lo spaventava, nemmeno se avesse dovuto portarsi in spalla uno zaino del peso di 10-15 kg. Fu così che un giorno decise di uscire da casa con la ferma convinzione che non vi avrebbe fatto più ritorno se non avesse raggiunto la meta di sempre, la cattedrale di Santiago a Compostela.

I preparativi non furono particolarmente complessi per una scelta precisa, quella di non programmare nulla, di non darsi delle scadenze, di seguire le sensazioni del momento.

Quella poteva essere l’avventura di tutta una vita e ne voleva suggere ogni minuto, ogni metro di strada, ogni scorcio di paesaggio che gli si fosse presentato davanti agli occhi.

Lasciò casa sua come se dovesse ritornare di lì a poche ore, ma trascorsero 15 anni 6 mesi e un giorno prima di farvi ritorno.

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Quando una maratona non è più una gara, di Paolo Luparello, del 29 aprile 2018, domenica

Aprile 29, 2018 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Quando una maratona non è più una gara, di Paolo Luparello, del 29 aprile 2018, domenica

Correre mi piace. Nonostante l’età, e i tanto doloretti che porta con se, quando indosso le scarpe da corsa succede sempre un nuovo miracolo, riesco a correre. Quando un maratoneta dice che corre, almeno un maratoneta della domenica come me, intende dire che riesce a muoversi con una velocità almeno doppia di un uomo che passeggia e che quindi riesce ad andare a una velocità tra i 10 e i 12 kmh. I campioni corrono anche oltre i 20 kmh e lo fanno per tutti i 42,195 km di una maratona. Io mi ritengo soddisfatto se riesco a correre a 12 kmh per tutta una maratona, ma non sempre ci riesco e spesso, dopo il fatidico muro dei 30 km, mi trovo costretto ad alternare tratti di corsa con tratti di camminata. Per me è sempre stato così. Poche sono le maratone in cui sono riuscito a correre per tutta la distanza, e quando ci sono riuscito ho fatto le mie migliori prestazioni.

Per le prime maratone ci provavo a tenere d’occhio il tempo, poi ho capito che devo guardare alla maratona come a un esercizio non soltanto fisico ma soprattutto mentale. Cimentarsi con una maratona significa avere un obiettivo chiaro, percorrere 42,195 km entro le 4 ore, e prepararsi per mesi e mesi in funzione di quell’obiettivo. Prepararsi significa allenarsi e percorrere centinaia e centinaia di km di allenamenti, in tutte le condizioni meteo che si verificano durante i mesi di preparazione. Non saprei dire cosa mi piaccia di più, se la gara da disputare o i mesi in cui la preparo. La maratona, per un amatore come me, non è soltanto una gara, anzi non è una gara. Spesso non so chi sono i top runner partecipanti e alla fine spesso non sono nemmeno interessato a conoscere chi ha vinto e con quale tempo. La maratona, la mia maratona, è una gara individuale, nella quale ci sono io e i 42,195 km da percorrere.

Ogni maratona ha un suo fascino e anche se tutte sono sugli identici 42,195 km da percorrere, ce ne sono alcune che rappresentano qualcosa di particolare per il maratoneta che ci si cimenta.

Sono poche le maratone nelle quali sono tornato a correre. Reggio Emilia, Roma e la Supermaratona dell’Etna. Reggio Emilia e Roma le ho corse due volte. La Supermaratona dell’Etna l’ho già corsa 4 volte e quest’anno sarà la quinta. Come fa un maratoneta siciliano non cimentarsi con l’Etna? E’ la domanda che mi posi la prima volta che mi iscrissi e dopo averla portata a termine mi diedi anche la risposta sul perchè molti maratoneti non la corrono e non la prendono nemmeno in considerazione. La Supermaratona dell’Etna oltre a essere un po’ più lunga di una normale maratona (43 km) è tutta in salita. Parte da Marina di Cottone a Fiumefreddo di Sicilia, dalla riva del mare e arriva a quota 3000 m s.l.m. sull’Etna. E’ una gara massacrante che mette alla prova tutti gli organi e il fisico di un atleta, ma soprattutto mette alla prova il carattere di un atleta. Dopo la prima volta che riuscii a tagliare il traguardo mi ero convinto che non sarei più tornato su quelle strade e su quelle piste, la gara si disputa su strada per circa 33 km e gli ultimi 10 km sono piste in sabbia lavica. E invece ogni anno l’Etna è tornato a esercitare un fascino particolare su di me e non avere come obiettivo la 0 – 3000 nel mio calendario agonistico lo renderebbe vuoto. E quindi anche quest’anno sarà Etna.

La 0 – 3000 dell’Etna, secondo me, non è una gara podistica, è una sfida, una sfida con se stessi. Una sfida con la propria ostinazione, con la propria volontà, con il proprio corpo al quale la mente impone che ce la può fare a portare quegli 85 kg di muscoli, ossa e sangue, su su fino ai crateri sommitali, dove, alle volte, si possono cogliere i boati in lontananza, boati che possono provenire dai crateri attivi lontani o dai temporali che a quelle altitudini possono fare la loro apparizione.

Per i primi 33 km di questa sfida che si chiama 0 – 3000 dell’Etna si corre, o si prova a farlo, per la maggior parte del percorso per superare quel dislivello che porterà a 1800 m s.l.m.. Per gli ultimi 10 km la maggior parte dei partecipanti, anch’io, cammina, o quantomeno ci prova. In quei 10 km si dovrà superare un dislivello complessivo di 1200 m su un fondo non sempre saldo e sul quale si cerca di trovare l’appoggio giusto per spingersi passo dopo passo. Quei 10 km non sembrano finire più e progredire è penosissimo. Non sempre si è lucidi, sia per la fatica già accumulata sia per la rarefazione dell’ossigeno. In alcuni tratti sembra di essere in un girone infernale, una scena di un film di Pasolini, con una fila di automi che disegnano in lontananza il percorso che ancora ti attende, intervallati di pochi metri l’uno dall’altro, come a rispettare un ordine già stabilito e al quale nessuno si vuole sottrarre. No, non è una gara. La 0 – 3000 è una sfida in cui centinaia di uomini e donne si sfidano con se stessi, per poter dire a se stessi che se una cosa la si vuole la si ottiene, con sacrificio e costanza. Nelle ultime due edizioni a cui ho partecipato l’ultimo km è in gran parte in pianura e li si può correre e io sono riuscito a correrlo quell’ultimo km ed è una sensazione bellissima, una sensazione di libertà e di forza allo stesso tempo. Quando pensi che non ce la fai più, che tutte le energie ti hanno oramai abbandonato, che il cuore potrebbe scoppiarti da un momento all’altro, il tuo corpo ti sorprende e dimentico di tutti i dolori che oramai fanno soffrire ogni tuo muscolo, tendine e articolazione, corri, corri in un luogo che soltanto in quell’occasione puoi percorrere … a 3000 m nel cielo.

Ecco perchè non riesco a resistere al richiamo di quella vetta, di quei luoghi in cui la forza del vulcano sembra voler dimostrare la propria sovranità sulla stessa natura di cui è parte e di questo ne sono testimonianza quei tronchi che un tempo erano alberi possenti e che le diverse eruzioni hanno trasformato in foreste pietrificate in cui il nitore dei tronchi scortecciati spicca su quel manto di lava che tutto copre.

Anche quest’anno rivivrò sensazioni particolari, sempre che quegli 85 kg di carne, ossa, sangue di cui è fatto il mio corpo riusciranno a portarmi su, fino in cima al vulcano, non per sfidarlo ma per rendere onore alla natura che sembra oramai scomparsa dal palcoscenico delle nostre vite di uomini civilizzati.

In Sicilia tra occidentali e orientali non ci si riesce a mettere d’accordo se qualcosa sia femminile o maschile, tra questi arancino e arancina, ma per quanto riguarda l’Etna accetto di buon grado che l’Etna sia femmina e sarà alla dea dell’Etna che dedicherò questa ennesima avventura per le sue pendici.

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Fedro racconta, del 12.05.2017, venerdì

Maggio 12, 2017 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Che il ricordo possa alleviare il dolore e non esserne ulteriore fonte.

Professione? Onesto,
di Fedro

Oramai in politica ha fatto il suo debutto un nuovo professionista, l’onesto.
E io che credevo che l’onestà fosse una precondizione per poter aspirare a una carica pubblica, passando per il vaglio delle elezioni popolari.
C’è chi va ostentando la propria onestà alzando cartelli per la pubblica via, e chi professa la propria integrità con comunicati giornalieri, ma anche bi e trigiornalieri.
Ma nella società di oggi, a quale elettorato si può rivolgere l’onesto?
Quanti saranno gli elettori che privilegeranno un candidato onesto a uno che, non dichiarandolo, si iscrive di diritto al partito non dico dei disonesti ma di quelli che hanno qualcosa da nascondere?
L’onesto si stupisce di come un non onesto dichiarato possa raccogliere messe di voti, a differenza di lui, e dei candidati come lui, che invece a fatica raccoglie un consenso non certo direttamente proporzionale alla propria onestà dichiarata.
Ma la questione del consenso va affrontata dal lato del candidato, più o meno onesto, o da quello del cittadino elettore al quale invece non si chiede una pubblica dichiarazione di onestà?
In effetti dovremmo chiederci se gli elettori sono onesti. Non escludo che presto i candidati onesti chiederanno che a votare siano soltanto elettori onesti degni di poter esercitare il diritto di voto, che non può certamente essere affidato al primo sprovveduto che passa e che potrebbe affidare il bene comune a qualche non onesto dichiarato.
Un elettore che viola sistematicamente le norme del codice della strada potrà mai votare per un candidato onesto?
Un elettore che regolarmente esercita l’occupazione del suolo pubblico e la vendita abusiva potrà mai votare per un candidato onesto?
Un elettore che rilascia dichiarazioni mendaci pur di avere riconosciuto un pass, una esenzione, una pensione, un contributo pubblico, potrà mai votare per un candidato onesto?
Un elettore che si macchia di uno dei tanti altri reati che riempiono giornalmente le pagine di cronaca dei giornali, potrà mai votare per un candidato onesto?
Considerato il numero sterminato di elettori che violano regolarmente e sistematicamente una qualche norma, mi spiego il motivo per cui è nata la nuova professione di onesto.
Si è sentito il bisogno di farsi riconoscere e di attestare pubblicamente che si è onesti dichiarati e quindi tutti gli elettori che non sono dediti alla violazione della legge possono tranquillamente sapere per chi votare. Sarà poi cura dei candidati onesti certificare con i soliti comunicati giornalieri o bi o trigiornalieri il livello di onestà degli eletti, anche se non è chiaro su quale base potranno stabilire se il voto ottenuto dagli eletti è più o meno proveniente da elettori onesti.
Sembra che il voto ottenuto sarà considerato onesto se il candidato onesto avrà pubblicamente dichiarato che lui il voto dei disonesti non lo vuole e che i disonesti non si devono sognare minimamente di votarlo. Il livello di onestà del voto sarà inoltre stimato sulla base dei reati che saranno inseriti nella lista dei reati che ogni candidato dovrà puntualmente indicare per invitare chi se ne macchia a non votare per lui.
Al momento c’è un gruppo di studio che sta valutando quali reati inserire nella lista tipo e quale peso assegnare a ciascuno di loro.
Ma secondo voi quanti voti potrebbe far perdere un invito a non votare per un candidato onesto tutti coloro che non danno la precedenza? E tutti quelli che posteggiano in doppia fila? E tutti quelli che non rispettano gli orari di conferimento dei rifiuti urbani?
A Puffarandia, secondo me, hanno tempo da perdere!

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La gara come metafora della vita, di Paolo Luparello

Aprile 26, 2017 in Prima Pagina, Racconti da fedro

La gara come metafora della vita, di Paolo Luparello

In un anno ci sono 365 giorni. In almeno 200 giorni corro. Non ne posso fare a meno. Se fosse possibile correrei tutti i giorni. Alcuni dei giorni in cui corro sono quelli delle gare. Maratone, mezze maratone, diecimila metri, qualche volta anche un 5 mila metri. Le gare potrebbero anche non esserci, io correrei lo stesso. Anzi, sarebbero meglio che le gare non ci fossero. Mi piacerebbe avere la forza di non partecipare alle gare. Sarebbe bello rinunciare alla competizione, che nel mio caso è con dei perfetti sconosciuti con i quali ci si contende una posizione di meta classifica, né troppo atleti, nè troppo tapascioni. Ma alla fine partecipi. Sono oramai anni che rinuncio alla conquista delle posizioni buone in partenza. Preferisco piazzarmi in fondo alla gruppo e partire ultimo, e poi cominciare a risalire le posizioni. Se esistesse sarei in testa alla classifica di quelli che sorpassano più avversari. Mi piace sfilare gran parte dei partecipanti. A seconda delle gare si tratta di centinaia o di migliaia di podisti. Mi piace osservarli, osservare le loro andature, la loro postura, i messaggi di cui alcuni sono portatori, ascoltare i consigli che si danno, osservare le smorfie che si dipingono sui loro volti quando la stanchezza comincia a farsi sentire. Ogni gara è una esperienza unica e irripetibile. Ogni gara mi lascia qualcosa, e non è solo una medaglia da mettere in bacheca. Ma ogni gara non è soltanto una esperienza di vita, è pur sempre una prova atletica. Sono strane le sensazioni che si provano nell’immediatezza e durante una gara. A partire dall’odore. Avverto distintamente un odore che proviene dalla mia pelle. Un odore diverso che non avverto mai, neanche in allenamento, neanche durante quelli impegnativi. Un odore di selvatico, a tratti aromatico. Anche se non provo alcuna emozione in prossimità della partenza della gara così non è per il mio corpo, che probabilmente sa che a breve sarà chiamato a una prova importante. Un prova che impegnerà muscoli, tendini, polmoni, sangue e che sprigionerà litri e litri di sudore da ogni millimetro quadrato di pelle. Fino a pochi minuti dalla partenza mi sento impacciato, imballato nella muscolatura, ma appena esplode lo sparo dello starter succede qualcosa. Tutto diventa fluido e il gesto diventa facile e veloce. La falcata si allunga e aggredisco la strada. Vengo risucchiato come involontariamente in una corsa all’ultimo respiro. Fino a qualche tempo fa, quando mi rendevo conto che stavo spendendo troppo era troppo tardi e l’ultima frazione della gara diventava un tormento. Oggi sono più giudizioso. Dopo i primi chilometri il mio cervello riesce a prendere il controllo delle operazioni e comincio ad amministrare la gara, in un continuo ricalcolo del tempo di probabile arrivo, in una continua mediazione tra ciò che potrei dare adesso e ciò che pagherò agli ultimi chilometri, ma anche alle ultime centinaia di metri. Comunque vada c’è però un momento della gara in cui mollo. Mollo la velleità di andare a tutta per quell’ultima frazione. Come nella vita mi piace costruire le fondamenta, mi piace gettare le basi di quello che sarà, quando il più è fatto perdo interesse. Le gare più belle che ho fatto sono quelle nelle quali mi sono impegnato per accompagnare altri a fare la loro migliore performance. Se dovessi scegliere tra andare a podio e far andare a podio non avrei dubbi! Probabilmente perchè sono un tapascione.

da fedro

Avete raccolto una bottiglia sulla battigia?, di Paolo Luparello

Aprile 25, 2017 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Avete raccolto una bottiglia sulla battigia?, di Paolo Luparello

Non ci crederete ma sono uno scrittore. Ho scritto un libro. Mi ci sono voluti 10 anni ma l’ho scritto. L’ho scritto giorno dopo giorno. L’ho scritto quando ero arrabbiato e l’ho scritto quando ero esaltato. L’ho scritto per farmi sgorgare lacrime e l’ho scritto per strappare un sorriso e forse una risata. L’ho scritto per denunciare ciò che non andava e l’ho scritto per accativarmi qualche simpatia. L’ho scritto per fissare ciò che mi ha colpito e l’ho scritto per ricordarmi cosa non mi piace. L’ho scritto per rivivere delle emozioni che ho provato e per non dimenticare.

Il mio libro non lo troverete in libreria. Il mio libro ha un pubblico fatto da un numero finito di persone. Un pubblico che ha seguito il mio percorso da quando ho deciso di affidare al blog, alla newsletter, a Facebook le pagine del mio libro, della mia vita.

Il mio libro non so di quante pagine si compone, ne di quanti capitoli, e non so nemmeno in quale categoria potrebbe essere inserito tra gli scaffali di una libreria.

Il mio libro non so nemmeno che formato ha.

So soltanto che in questi anni i tanti lettori mi hanno fatto sentire la loro vicinanza. Chi per incoraggiarmi, chi per oltraggiarmi. Per un verso o per l’altro non sono passato inosservato.

Peccato che nessun nuovo lettore potrà mai leggere il mio libro, tranne che i vecchi lettori non decidano di restituire le pagine mancanti di quel libro. Le pagine che sono piaciute e le pagine che non avrebbero mai voluto leggere, le pagine che li hanno colpiti e che li hanno portati a riflettere e le pagine che hanno avvertito come un pugno dello stomaco e per le quali mi avrebbero voluto urlare il loro disprezzo e la loro rabbia.

Ma vale la pena recuperare dall’oceano delle relazioni i messaggi affidati alle migliaia di bottiglie in esso disperse?

Saranno i lettori di questi anni a decidere per me … chi avrà conservato una di quelle bottiglie me la invii, vedremo se varrà la pena rimettere insieme l’opera!

Decise di adottare lo pseudonimo di Fedro dopo aver letto un libro. Da allora non fu più lo stesso. Cominciò a interrogarsi su tutto. Raramente riusci a darsi delle risposte. Chiese anche aiuto a chi entrava in contatto con lui, ma anche da loro non ottenne le risposte che cercava. Continuò a interrogarsi. Ebbe la certezza che le risposte prima o poi sarebbero arrivate. Prese a salire sul monte certo che l’oracolo avrebbe risposto. No, l’oracolo non rispose. Pensò che era un oracolo poco irraggiungibile e quindi decise di trovare un altro oracolo. Le risposte che non ottenne sul piccole monte le avrebbe ottenute sulla vetta del vulcano. Lì una risposta ci sarebbe stata!

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Le riflessioni del viandante, del 25 giugno 2016, sabato

Giugno 25, 2016 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Le riflessioni del viandante, del 25 giugno 2016, sabato

Oggi avevo deciso che avrei fatto la salita (“l’acchianata”) di Montepellegrino. Sarebbe stato un Luparello Paolo 02fuoriprogramma per questo periodo dell’anno, ma l’incendio che una decina di giorni fa ha sfregiato il monte caro ai palermitani mi aveva fatto prendere questa decisione. Avevo preso questa decisione dopo la triste immagine di Montepellegrino, di un colore marrone scuro tipico delle superfici percorse dal fuoco, che mi era apparsa tornando a Palermo da una breve vacanza. Non che prima il monte fosse coperto da boschi rigogliosi, ma quella vegetazione che lo copriva a tratti sul versante che guarda a oriente, era una immagine familiare per chi giungeva a Palermo proveniente dalla Sicilia occidentale, percorrendo l’ultimo tratto dell’autostrada Palermo-Catania.

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da fedro

Sudore e sangue… niente di nuovo sotto il sole di Sicilia!, di Paolo Luparello, del 10.05.2016, martedì

Maggio 10, 2016 in Prima Pagina, Racconti da fedro

Sudore e sangue… niente di nuovo sotto il sole di Sicilia! (*), di Paolo Luparello, del 10.05.2016, martedì

2015 11 15 Paolo prima della partenza 2

Lui correva. Sotto il sole cocente, era un dispensare sudore e saliva… anche schiuma si formava tra

le cosce. Il sentiero si inerpicava e più la salita diventava dura più lui intensificava i passi. Pochi

metri lo separavano dallo scollinamento. Raggiunta la sommità, si fermò. Sapeva cosa lo attendeva.

Lo schiudersi di una vista mozzafiato sulla valle della Santuzza. Era un rito oramai. Tirare alla

morte quella salita per poi fermarsi e godere di quel creato era lo scopo di tutta una settimana di

lavoro.

Le settimane erano scandite da quel piacere unico che poi gli avrebbe dato la carica per

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